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Coronavirus, il Manifesto per la Sanità Locale: "Serve un piano di governo dell'ASL 5" In evidenza

La richiesta è quella di fare sentire la voce del territorio e delle sue esigenze, superando l'accentramento delle decisioni.

Le parole della dottoressa Artioli “gli ospedali spezzini non sono al collasso” forse possono tranquillizzare qualcuno, ma non sono sufficienti per indicare la strategia dell’ASL nell’affrontare l’emergenza e quindi per tutelare i cittadini, ora e nel prossimo futuro.

Non si possono comunicare le notizie su come la nostra ASL sta affrontando l’emergenza, volta per volta e a seconda della bisogna (nel caso ultimo, per “ripristinare la falla” apertasi con le dichiarazioni del Sindaco sulla mancata accoglienza della nave da crociera).
Manca un Piano preciso e dettagliato da far conoscere ai cittadini e alle istituzioni.
Questa mancanza si è sentita e si sente tutt’ora.

In particolare per la destinazione – come da noi proposto – di uno dei due presidi ospedalieri (La Spezia o Sarzana) dedicato al Covid e l’altro per iniziare a gestire la fase post emergenza e comunque gli interventi non procrastinabili (le altre patologie tempo dipendenti – infarti e ictus – non vanno certo in ferie ...). Tutto ciò al fine di evitare casi come quello apparso sulla stampa locale, in cui un paziente operato all’anca è poi deceduto per infezione da Covid 19.
Fin dal 29 febbraio il Ministero della Salute (con la circolare 2619) aveva dato indicazioni per la destinazione separata di ospedali deputati ai pazienti Covid positivi; indicazione recentemente ribadita nella circolare 7865 del 25 marzo.

La nostra ASL – che si esprime sempre e solo attraverso un suo dirigente (ma chi glielo fa fare di reggere questo gioco?) e mai con il suo commissario (ma che lo paghiamo a fare?) – sostiene oggi che una struttura solo per i Covid “... ORA non avrebbe senso...”. Che è come dire che il senso ce l’aveva prima, e perchè non è stato pensato?
E allora chiediamo come mai – nonostante la circolare ministeriale già del 29 febbraio – l’ASL non avesse, da quella data, approntato un Piano per destinare uno degli ospedali all’emergenza, assegnando percorsi diversi ai pazienti Covid positivi rispetto agli altri.

Non è vero che è troppo tardi per creare presidi ospedalieri Covid dedicati: e non lo diciamo noi, ma il gruppo tecnico scientifico che ha dato indicazioni al Ministero della Salute per la redazione della circolare del 25 marzo (testualmente dalla circolare del 25 marzo – cioè ORA - “... è necessario identificare prioritariamente strutture/stabilimenti dedicati alla gestione esclusiva del paziente affetto da COVID- 19, tenuto conto che le attività precipue sono legate alle malattie infettive, assistenza respiratoria e terapia intensiva. Parimenti, è necessario individuare altre strutture ospedaliere da dedicare alla gestione dell’emergenza ospedaliera NON COVID (patologie complesse tempo dipendenti)..”).

Non è mai troppo tardi, basta da oggi non far accedere pazienti Covid positivi al S. Andrea e poi vediamo a breve i risultati.

Ancora come mai, il pre triage – per individuare i casi sospetti fin dal primo accesso al pronto soccorso – e’ stato istituito solo il 7 marzo, ad epidemia già conclamata e contribuendo cosi ai rischi dell’accesso ospedaliero del virus.

Le notizie che arrivano dagli operatori sanitari (o meglio dalle loro organizzazioni, poichè sappiamo che, a differenza di altre ASL ed altre regioni, da noi vige il regime del silenzio, a pena di sanzioni disciplinari!) sono preoccupanti – a differenza di quelle che ci vorrebbe “propinare” l’ASL, per non disturbare il manovratore genovese: mancano dispositivi di protezione; non sono fatti tamponi a tappeto sul personale e i risultati – quando non vanno persi i campioni – arrivano in ritardo.

Come mai, la ASL non ha provveduto ad avviare un piano anche a tutela degli operatori sanitari che sono quelli che ci stanno salvando la vita (circolare ministeriale 7865 :”In questo quadro generale, è essenziale il ruolo svolto dal personale sanitario che, a vario titolo, si prende cura dei pazienti con COVID-19. E’ fondamentale perseguire l’obiettivo volto alla massima tutela possibile del personale, dotandolo di dispositivi di protezione individuale (DPI), di efficienza modulata rispetto al rischio professionale a cui viene esposto. Allo stesso modo, è corretto che il personale sanitario esposto venga sottoposto a indagini (tampone rino-faringeo) mirate a valutare l’eventuale positività per SARS-CoV-2. Questa misura, oltre a costituire una tutela per il personale sanitario, è rilevante anche per i soggetti che vengono a contatto con il personale medesimo e, in questa prospettiva, lo stesso tipo di approccio va rivolto agli operatori tutti, sanitari e non, che operano nelle RSA, ove si concentra un alto numero di soggetti che, soprattutto per età, ma anche per presenza di comorbilità, sono particolarmente fragili ed esposti al rischio di forme severe o addirittura fatali di COVID-19.”)

La risposta è una sola.
Già prima dell’emergenza, Alisa da Genova decideva l’organizzazione dei nostri servizi sanitari, senza tener conto delle esigenze del territorio e del parere dei locali operatori sanitari, depotenziando e destrutturando interi servizi e reparti.
Di quella destrutturazione, oggi tutti noi paghiamo le conseguenze.
Ancora oggi paghiamo ancora - e ad emergenza in atto - sempre le stesse conseguenze delle decisioni accentrate su Alisa: la nostra ASL non decide un bel nulla! Aspetta le indicazioni da Genova che, quando va bene, arrivano in ritardo.
E il ritardo in situazione di emergenza si paga!
E lo paghiamo noi e gli operatori sanitari che sono in prima linea.

E’ necessario che le Istituzioni – e in particolare tutti i Sindaci del nostro territorio, senza distinzione di razza – raddrizzino la schiena e facciano sentire il peso della nostra Provincia a Genova, pretendendo un Piano preciso per ora e per il futuro.


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