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L'ultima messa di don Renzo Cortese sul letto di morte

Egidio Banti ricorda la figura del sacerdote scomparso nei giorni scorsi.

“Grazie zio... Carlo Acutis sarà felice di incontrarti, continua a vegliare su di noi”.

Così ha scritto su Facebook Marta, la nipote di don Renzo Cortese, spentosi martedì. È stato bello accostare il giovane beato Carlo, morto a quindici anni, a un sacerdote sì molto anziano - avrebbe compiuto novant’anni tra pochi mesi - ma sempre giovane nell’animo: la giovinezza della missione e della fedeltà a Cristo, tanto forte da fargli chiedere, come ha raccontato il fratello Roberto, di poter celebrare un’ultima messa sul letto dove pochi giorni dopo avrebbe chiuso gli occhi.

Se sono tante le figure di preti che, ad onta di luoghi comuni e di polemiche ingiuste, rendono onore al sacramento dell’ordine, non c’è dubbio che don Renzo, con la sua esuberanza giovanile ed una straordinaria fantasia pastorale, sia stato negli ultimi decenni uno di coloro la cui testimonianza è stata più conosciuta e seguita. Lo hanno confermato i tanti che venerdì hanno affollato la basilica concattedrale di Santa Maria Assunta di Sarzana, dove il vescovo Luigi Ernesto Palletti ha presieduto il rito funebre (don Renzo era canonico del capitolo sarzanese) ed anche quelle che giovedì sera hanno vegliato il feretro a Lerici, il luogo dove ha abitato negli ultimi anni, e poi venerdì gli hanno reso omaggio in San Francesco a Sarzana, dove era stato parroco dal 1997 al 2017.

Ma l’azione pastorale di don Cortese, che il vescovo Giuseppe Stella aveva ordinato prete il 3 luglio 1955 al Limone, dove risiedeva la famiglia, è stata davvero a tutto campo. Del resto, già in seminario era l’unico a riportare dieci in tutte le discipline. Divenuto sacerdote, non mancava mai di far pervenire ai confratelli un biglietto di auguri per l’anniversario di ordinazione, firmandolo “i confratelli sacerdoti”: una sorta però di segreto di Pulcinella perché tutti conoscevano la sua calligrafia.

Nel 1960, dopo alcuni anni come curato a Pegazzano e poi a Cristo Re, era già parroco a Madrignano, dove ancora lo si ricorda, a bordo di un trattore, percorrere la nuova strada per Usurana, che aveva contribuito a costruire, collegamento importante con il capoluogo di Calice. Essere prete, per lui, voleva dire capire le esigenze di tutti, e spendersi per realizzarle: il Vangelo delle beatitudini, letto nel corso delle esequie, era vita vissuta, alla sequela di Cristo.

Nel 1965 diventa assistente dei giovani di Azione cattolica, proprio negli anni non facili del “dopo Concilio”, e contribuisce ad avviare la feconda stagione dei “campi scuola”. Nel 1975 è parroco alle Grazie, dove realizza il “sogno” della solenne incoronazione della Vergine: accontenta così il popolo di Dio, ma lo sprona a una fede intensa, rappresentata, ad esempio, dai pellegrinaggi dell’alba dalla cappella del Pezzino sino al santuario, nel giorno della festa.

Il vescovo Siro Silvestri lo chiama per alcuni anni alla guida della Caritas. Sarà anche segretario delle comunicazioni sociali, direttore dell’ufficio pastorale, cappellano dell’ospedale. Ma il suo cuore era il grande cuore di un parroco, nel solco di una spiritualità francescana e insieme mariana. Così, dal 1993 al 1997 è parroco di San Francesco a Fossitermi, e poi di San Francesco a Sarzana. Ma non si ferma in parrocchia, perché, per lui, la Chiesa è sempre stata “Chiesa in uscita”.

Scoppia la guerra in Bosnia e tra il 1992 e il 1993, con alcuni volontari, si reca a più riprese sino a Mostar, per portare aiuti alle comunità cristiane. Nel 1994 va oltre, e raggiunge il Ruanda, sfidando un’altra terribile guerra civile. Numerose sono state, negli anni, le visite e i pellegrinaggi a Medjugorie. Ritiratosi a Lerici, ha continuato a celebrare, a confessare, ad additare ai fedeli la Madonna di Maralunga. È morto sereno, anche grazie a quell’ultima messa celebrata a letto, e noi vogliamo ricordarlo così.

testo di Egidio Banti

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