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"Deh, ma aloa: la mascherina te ghe lè?", i modi di dire spezzini ai tempi del Covid-19 In evidenza

Rirpoponiamo una raccolta dei modi di dire spezzini, tratti da wikispedia.

Uno degli articoli più letti sulla Wikispedia, la nostra Wiki spezzina, è ‘’I modi di dire spezzini’’, una raccolta, commentata, delle frasi più tipiche del nostro gergo quotidiano, scritto già qualche anno fa dal nostro collaboratore Francesco Falli.

Ce lo ripropone, aggiornato ai tempi del Covid19, e ‘’diviso’’ in due contributi: pubblichiamo oggi la prima parte.

DEH, MA ALOA: LA MASCHERINA TE GHE LE’ O NO?
(it: ma lei indossa o no la mascherina?) Così dirà il raffinato gestore del sofisticato bar di periferia all’avventore che cerca di entrare, nonostante gli sbarramenti all’ingresso, provando a scavalcare gli ostacoli, dopo due mesi di clausura e sprovvisto di ogni ‘’DPI’’ (dispositivo di protezione individuale); altri invece cercheranno di sorseggiare il desiderato caffè con maschera, guanti, scafandro, incespicando nei vari attrezzi, rovesciando il disinfettante per errore inserito nel bicchierino di carta (tremendo) e infine imprecando contro chiunque. Sì, il caffè rende nervosi.

BELIN, PAPA'
(it: belin, papà!) La parola più usata in Liguria è il termine probabilmente più ligure che utilizziamo a Spezia. In questa accezione, si accompagna all'invocazione paterna sin dai primi anni di vita, quando al Picco il figliolo dirà al padre esultante: ‘’belin papà, che gol!’’; poi lo ripeterà con l'arrivo di una nuova macchina bella e spaziosa: ‘’belin papà come è bella!;’’ e sarà poi ripetuto, ma con tono e intenzione differente, ai primi patemi adolescenziali: ‘’ma belin, papà, ma perchè non mi mandi due settimane a sciare, scusa eh...’’ Proseguirà nel tempo con alternanti modulazioni, fra un ‘’belin papà come rompi’’ e un ‘’belin papà ma perché non vieni con noi, dai!...’’ fino al duro e finale ‘’belin, papà, mi manchi tanto’’, quando il vecchio sarà andato via per sempre. Una variante degli ultimi anni, meno tragica ma sempre abbastanza amara, è ‘’belin papà: ma ti sei sposato la badante con la comunione dei beni!!’’ , la quale, da balda straniera 35enne con prospettive personali -della persona fisica- davvero notevoli, fulminerà con uno sguardo il figlio: che di più non potrà dire, a causa di situazioni pregresse che già hanno compromesso la sua posizione nel quadro generale della faccenda.

MA TE ME PAI DE GESSO
(it: mi sembri di gesso) si dirà della gentile fidanzata/consorte che non mostra la benché minima propensione al dialogo, né la capacità di comprendere che lo spezzino verace, al fischio di inizio della partita delle Aquile, deve essere o al Picco, o nei pressi di una fonte mediatica di informazione (oggi anche il web va bene).

TE PIASSE UN PO' DE BEN
(it: ti prendesse un pò di bene) frase il cui intento è in genere l'esatto opposto, e che sarà rivolta al giovane scooterista che ha la pretesa di transitare comunque, mentre folle di pedoni si affannano sulle strisce pedonali, cavalcando lo smarmittato e potente mezzo meccanico: il tutto nel terrore delle pensionate, e nel relativo disprezzo del ghifone di turno (il vigile urbano).

 CHI GHE LA' D'OO, CHI GHE LA' D'ARGENTO E CHI GHE DA' DI CAUSSI DENTRO
(it: chi ce l'ha dorata, chi d'argento, chi la prende a calcioni) ci si riferirà alla fortuna, ma anche e soprattutto a quella parte anatomica della quale la sempre attuale Mae West amava dire: molte donne sono sedute sulla loro fortuna, e non lo sanno: altre -come me- lo sanno perfettamente

ADE’ TE CAGA' N TER BOLACO
(it: hai fatto la cacchina nel barattolo) diremo all'amico che ci volta le spalle, o al collega che ci rifiuta la cortesia richiesta: la frase, all'apparenza volgare, promette vendetta.

MA MEN BATO 'R BELIN
(it. me ne frego) sarà la risposta del minacciato

TE' MANGIA' DE STRANGOGION
(it: hai mangiato molto in fretta) diremo del galantuomo dello Sprugola, o dell'elegante abitante di Piazza Brin, che per recarsi alla partita delle amate Aquile si ingozzano come struzzi rischiando, ma è un altra questione, UNO S-CIOPON.

IE' CAITO N TER CANAO I NE' SE' FATO MANCO MAO
(it: è caduto nel canale ma non si è fatto nulla) antica frase ripetuta non di rado dai non spezzini che sono passati dalle parti nostre, spesso per comando militare, e solo per segnalare la cadenza dell'idioma a loro dire curioso (magari provengono dalla Ciociaria, perciò sarebbe bene una analisi del proprio dialetto, prima delle affermazioni a caso sul nostro, citando frasi che non sono di uso comune...)

ATO ITO OTO ETI DE TOTANETI
(it: ti ho detto otto etti di totanetti) idem come sopra: una frase così può aver senso solo in piazza o in pescheria, dove peraltro si chiede ‘’demene ‘n chiletto’’.

O MANGIABRENOSE A UFO!
(it: o mangiatori di panini allungati, che non pagate!) Alla fine del XIX secolo la città era completamente trasformata dalle attività arsenalizie e militari e dall'arrivo di una vastissima, preponderante nuova popolazione che superò di gran lunga il numero degli autoctoni. Buona parte di costoro proveniva dalle assolate regioni meridionali, ed al confronto col clima campano o siculo, le giornate di pioggia spezzine erano inevitabilmente superiori. Da qui, alcuni degli immigrati dedussero che come pioveva qua non pioveva in nessun altro luogo del giovane Stato: e affibbiarono alla città nomignoli dispregiativi legati al suo clima, normale per la latitudine. In risposta, i pochi spezzini DOC superstiti, percentualmente soverchiati dai forestieri che stavano costituendo comunque la nuova città del Secolo Ventesimo, affibbiarono ai militari il titolo di mangiabrenose, cioè di mangiatori di quei panini di scarsa sostanza e appetibilità, che alla mensa sottufficiali del Regio Arsenale venivano serviti agli stessi (appunto, gratis, cioè a ufo).

NEL FORTE CI CAGANO I SOLDATI
Non è dialettale ma è tipicamente spezzino, derivante dalla forte impronta militarista di fine XIX secolo e che ha dato origine alla città moderna. I forti che cingevano la città, oggi in alcuni casi recuperati, in altri semidiroccati, erano ben visibili da quei nostri predecessori che, con questa frase semplicissima, indicavano la esclusività del loro possesso per i militari, che appunto avevano anche l'uso del cesso o latrina che dir si voglia: prerogativa esclusiva per gli accasermati.

 MIA CHI TE MIO
(it: guarda che ti guardano) fu anche il titolo di uno dei numerosissimi fogli goliardici che uscirono a pacchi negli Anni Cinquanta -Sessanta del secolo scorso, dei quali oggi resiste ed esiste il solo Spezia's Confidential. Mia chi te mio sarà la frase detta, con più di un secondo fine, dal gentleman appostato davanti al bar Peola per segnalare ad una giovane fanciulla avvenente che è sotto lo sguardo, insistente, di alcuni marinai di leva (oggi scomparsi col bar stesso)e che solo fra le sue braccia potrà salvarsi.

I PARENTI IEN COME I DENTI
(it: i parenti sono come i denti)....nell'estensione classica si aggiunge in genere anche la seconda parte: CIU' TE GHE NE' E CIU' I TE FAN MALE); in pratica, è la trasposizione di un concetto non completamente estraneo a molti nuclei familiari per i quali le dotte parole di Sant'Agostino ( beata solitudo, sola beatitudo) sono verità pura. In genere nella famiglia tipica spezzina (e non solo) il marito affermerà che sono i parenti della signora a rientrare nella categoria citata e, in osservanza alla più classica par condicio, altrettanto penserà la gentile signora in riferimento a quelli acquistati col matrimonio.

MA FATE VEDE DA LANZAVECCHIA
(it.: suggerisco una consulenza dal prof Lanzavecchia) sarà la frase che, con preoccupata partecipazione, inviterà l'amico e/o il compagno di lavoro e di merende a farsi vedere da un discendente scientifico dell'illustre luminare, che ai tempi del Ventennio curava i malati di mente gravi....più moderna, sbrigativa, e senza l'analoga empatia la similare FATE VEDE DA UNO BRAVO....alcuni anni fa si usò anche FATE VEDE DA MANIRONI, dal nome dell'allora primario della Neurologia cittadina, opportunamente privato dal popolo, come da copione, di una N anagrafica.

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