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Tommaso Parentucelli, il sarzanese che diventò Papa e anticipò il dialogo con gli ebrei

Egidio Banti ricorda la figura di Niccolò V, che dimostrò un'attenzione non scontata per quei tempi verso la cultura e la lingua ebraica.

Papa Niccolò V Papa Niccolò V

Sabato prossimo - con un giorno di anticipo sulla data consueta del 17 gennaio - si tiene la “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei”, giunta alla sua ventiduesima edizione e dedicata quest’anno al libro biblico del “Qohelet”.

Sul piano invece degli studi storici, lo sviluppo, verificatosi proprio nei mesi scorsi, di iniziative e di ricerche sulla partecipazione della cultura ebraica europea ed italiana all’Umanesimo ed al Rinascimento, suggerisce, in diocesi, qualche riflessione, in vista magari di futuri approfondimenti, sul ruolo svolto in tale campo dal sarzanese Tommaso Parentucelli, che dal 1447 al 1455 fu Papa con il nome di Niccolò V.

Niccolò V, infatti, oltre ad essere stato il fondatore della Biblioteca Vaticana, è conosciuto dalla storia come il pontefice iniziatore dell’”Umanesimo cristiano”. In tale prospettiva si circondò di umanisti, aprendo la cultura cristiana del tempo allo studio della lingua greca e all’accoglienza di studiosi e di letterati profughi in quegli anni da Costantinopoli, ormai vicina all’ultimo e decisivo assedio da parte dei turchi di Maometto II.

Ci fu da parte del Parentucelli anche un’attenzione - certo non facile per quei tempi - verso la cultura e la lingua ebraica? La risposta è positiva, e si poggia su una pubblicazione, che risale al 2008, relativa ad un catalogo dei manoscritti ebraici conservati nei fondi antichi della Vaticana. Come osservò in quella circostanza lo studioso Giulio Busi, infatti, “le origini della biblioteca, nel pieno del Rinascimento, coincidono con gli inizi dell’ebraistica cristiana. Proprio allora gli umanisti tornarono a dar vita al mito della cultura trilingue, in cui l’ebraico si accostava al greco e al latino dell’eredità classica, in un progetto di sapienza universale”.

Proprio in un codice della Vaticana, anzi, si trova quella che è stata definita “la data di nascita” dell’interesse umanistico per la letteratura ebraica postbiblica. È una nota in cui il fiorentino Giannozzo Manetti scrive: “Domenica 21 novembre 1442 ho cominciato a studiare l’ebraico con Emanuele ebreo”. Nel 1442 Parentucelli non era ancora Papa, ma era già amico e compagno di studi di Manetti, che poi sarebbe diventato uno dei suoi stretti collaboratori a Roma, e il suo biografo.

In diocesi, a Sarzana, da anni il centro studi “Niccolò V” si adopera, d’intesa con la Biblioteca Vaticana, per proporre a studiosi e a studenti nuove occasioni di studio sulla grande testimonianza storica fornita dal pontefice conterraneo. Non v’è dubbio che l’attenzione rivolta, sia pure ancora in forma embrionale, anche alla grande eredità storica di coloro che un Papa di vari secoli dopo avrebbe chiamato “i nostri fratelli maggiori” possa essere considerata come un ulteriore segno di fiducia nei libri e nella cultura quali fondamenti autentici di dialogo, e quindi premessa a quanto oggi si sta realizzando.

La Giornata del dialogo ebraico-cristiano si lega, come è noto, con la settimana annuale di preghiera per l’unità della Chiesa, che si svolge dal 18 al 25 gennaio, giorno della festa della Conversione di San Paolo. Varie iniziative di riferimento a tale intenso periodo di dialogo e di preghiera si terranno anche alla Spezia.

testo di Egidio Banti

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