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Quando gli italiani portarono il calcio in Sudamerica, la storia nel nuovo libro di Marco Ferrari

“Ahi Sudamerica! Oriundi, tango e fútbol” racconta storie esilaranti, malinconiche e struggenti a cavallo tra le due sponde dell’Oceano.

È in libreria il nuovo libro di Marco Ferrari “Ahi Sudamerica! Oriundi, tango e fútbol” nella collana “I Robinson /Storie di questo mondo” di Laterza.

Il volume racconta dell’emigrazione italiana in Sud America, a cominciare dal quartiere ligure della Boca dove nell’aria si sentiva un forte odore di fainà, per le strade si vendeva “O Balilla”, un giornale in dialetto e i carbunin usavano pantaloni bleu di Genova. Non siamo sotto la Lanterna, ma dall’altra parte del mondo, a Buenos Aires. Qui sono gli italiani appena immigrati a far innamorare tutti del gioco più bello del mondo, il fútbol. Questo libro ne racconta le storie, esilaranti, malinconiche e struggenti, a cavallo tra le due sponde dell’Oceano, con in mente i personaggi strampalati di Osvaldo Soriano e come colonna sonora le note intense di Astor Piazzolla.

All’inizio del Novecento, Genova e Buenos Aires erano quasi un’unica città separata da un oceano di mare. Gli italiani superavano per numero gli immigrati degli altri paesi e i nativi messi assieme. È il tempo in cui “un argentino è un italiano che parla spagnolo ma pensa di essere inglese” e nella Parigi del Sud America tutti impazziscono per un nuovo sport: il football.

Nascono allora squadre mitiche, dagli Xenienses del Boca Juniors ai millionarios del River Plate, senza dimenticare il Club Màrtires de Chicago, anarchico e socialista, e l’Indipendiente, ovvero “Indipendientes de la patronal”. E dall’altra parte, come in un romanzo di Guareschi, il salesiano Lorenzo Massa faceva scendere in campo il San Lorenzo, la squadra oggi tifata anche da papa Francesco.

Ma la febbre del calcio si trasmette a tutto il continente e gli italiani sono sempre i portatori sani di questa epidemia, da San Paolo del Brasile a Caracas, da Asunción a Montevideo, dove nasce il Peñarol, fondato da emigranti di Pinerolo. In tutte queste squadre presto cominciano a crescere gli “oriundi”, ovvero tutti coloro che scelsero il pallone come metodo più sicuro per percorrere a ritroso la strada verso l’Europa. Scopriremo così le imprese e le avventure improbabili di calciatori geniali e destinati a segnare la storia: dal capitano del Bologna Badini al trio delle meraviglie del Torino fino al grandioso Guillermo Antonio Stabile, el filtrador. Così tra i tangueros della Juventus, da Cesarini a Sivori, il Bologna uruguaiano voluto da Mussolini e i romanisti, “traditori della patria”, in fuga dal regime fascista, ci sorprenderemo e commuoveremo di fronte alle vicende di questi figli dell’Europa rovesciata e depositata dall’altra parte dell’Atlantico, come scriveva Jorge Luis Borges. Storie malinconiche e surreali in cui pure Lionel Messi, la pulga, può scoprire di avere qualcosa in comune con Giacomo Leopardi.

Non mancano vicende spezzine, come quelle dei fratelli Rossetti: nell’estate del 1926 l’interno spezzino Gino Rossetti (in realtà si chiamava Rosetti, sbagliarono la trascrizione al momento della nascita all’anagrafe del Comune della Spezia) andò al Torino dove nacque con due oriundi il "Trio delle meraviglie", Baloncieri-Libonatti-Rossetti, ovvero, classe, fantasia, forza fisica e una capacità realizzativa senza eguali. Suo fratello Giuseppe Rossetti, prima di approdare al Torino, ebbe una esperienza in Cile nelle file del Calcio Audax Italiano, proveniente dallo Spezia, in una équipe che schierava solo italiani e figli d’italiani e, in questo caso, italiani d’esportazione. Poi divenne allenatore della nazionale cilena nel 1926 e primo allenatore-calciatore straniero del Colo Colo nel 1927.

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