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Pagano, co-presidente del Comitato Unitario della Resistenza: "Tra memoria del passato e speranza di futuro c’è un nesso fondamentale".

Nei giorni scorsi, al Parentucelli-Arzelà, si è tenuto un incontro sul centenario dei Fatti di Sarzana del luglio 1921, quando l’unità tra Comune, Arditi del popolo e forze dell’ordine respinse l’assalto fascista. Fu un’eccezione, che se si fosse diffusa avrebbe impedito l’avvento della dittatura. I ragazzi hanno seguito con interesse e ora proseguiranno, con gli insegnanti, la riflessione storica. Sono gli stessi ragazzi che si stanno prendendo cura delle lapidi delle vittime del fascismo e della guerra. Questo interesse è molto positivo perché la domanda che il giovane più di tutti rivolge alla storia nasce dalla speranza: per capire il suo futuro si volta indietro per capire da dove viene. Se la speranza muore, al posto della storia c’è il presente permanente. Tra memoria del passato e speranza di futuro c’è dunque un nesso fondamentale. I ragazzi sperano in un mondo di giustizia e libertà, contro il fascismo che queste idee ha massacrato.

L’impegno delle scuole però non basta. Deve riguardare anche le altre, diverse vie attraverso cui si forma la coscienza storica delle persone: istituzioni, partiti, associazioni. Il 1922, centenario dell’avvento del fascismo, dovrà essere dedicato alla cura della coscienza storica: il primo antifascismo e la Resistenza sono la storia delle origini; la Costituzione è la legge che discende da quella storia ed è la bussola per il futuro.

Due esempi riferiti alla Val di Magra. Il primo: la spedizione dei fascisti di Nicola e di Carrara contro i socialisti di Ortonovo -oggi Luni- il 30 ottobre 1921, nel corso della quale fu ucciso il giovane socialista Severino Pietra. Nella sparatoria morì anche l’ex sindaco liberale Pietro Montefiori, passato con i fascisti, che poi ne fecero un martire. La memoria antifascista locale -tratta dalle testimonianze dello scultore Giuseppe “Pippo” Gianoli e della figlia del sindaco socialista di allora, Luigi Piola- tramanda invece la versione dell’uccisione per gelosia. La gente ortonovese ha sempre avvalorato questa ipotesi. La vicenda va studiata, ma a partire da un punto fermo: fu una guerra civile, ma con una sola parte molto armata -la violenza era connaturata al fascismo- e con la vergogna di uno Stato che stava da una parte sola. Basta vedere il triste dato dei morti, dei feriti, degli arresti, delle distruzioni... Nel 1923 il Municipio fu invaso dai fascisti, e gli antifascisti furono deportati e incarcerati.

A proposito di carcere, il secondo esempio: vent’anni dopo, i militari italiani presi prigionieri dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 furono concentrati nella colonia fascista di Marinella -poi Olivetti- e da lì deportati nei campi di concentramento in Germania. Molti di loro furono uccisi con un colpo di pistola alla nuca e sepolti nella pineta. I loro corpi furono ritrovati dopo il 1962, nei lavori di scavo per l’insediamento dei fabbricati tra il borgo e il mare. Lo stesso trattamento fu riservato ai partigiani e ai civili rastrellati il 29 novembre 1944. Oggi si richiede giustamente la conservazione del borgo e della colonia nella loro autenticità storica: la memoria di quelle tragedie ne è parte integrante.


Giorgio Pagano,
co-presidente del Comitato Unitario della Resistenza

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