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Il Concilio e l'impegno nella vita sociale

Dal Concilio Vaticano II viene un messaggio di speranza e di impegno per coloro che fanno riferimento al campo delle attività economiche, politiche e sociali.

E' stato questo il punto centrale del convegno tenutosi alla Spezia, nella grande sala della «Cittadella della pace» di Pegazzano, gremita di persone. L'invito ad intervenire era stato rivolto a tutti dal vescovo diocesano monsignor Luigi Ernesto Palletti, che ha voluto così dar seguito alla tradizione diocesana di un incontro di riflessione, ad inizio anno, sui temi della dottrina sociale cristiana. Relatori dell'incontro sono stati lo stesso vescovo Palletti e monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana e responsabile del settore delle comunicazioni sociali. Monsignor Palletti, nel suo intervento, ha sottolineato le ragioni specifiche di un incontro sui temi del Concilio nel cuore dell'Anno della fede: un anno «speciale» indetto dal Papa anche in concomitanza con i cinquant'anni dall'avvio dell'assise ecumenica voluta nel 1962 dal beato Giovanni XXIII. Monsignor Pompili, dopo un'attenta ricostruzione storica di quella che ha definito «la 'battaglia' intorno alla 'Gaudium et spes», il cui testo fu approvato dal Concilio proprio al termine dei suoi lavori, nel dicembre 1965, ha citato uno scritto dedicato a questo documento dall'allora giovane teologo Joseph Ratzinger: «Qui veniva toccato il punto della vera aspettativa del Concilio. La Chiesa, che ancora in epoca barocca aveva, in senso lato, plasmato il mondo, a partire dal XIX secolo era entrata in modo sempre più evidente in un rapporto negativo con l'età moderna, solo allora pienamente iniziata. Le cose dovevano rimanere così? La Chiesa non poteva compiere un passo positivo nei tempi nuovi ?». Al centro della riflessione del futuro Papa e di quelle degli altri protagonisti dell'assise c'era un tema davvero di fondo: il rapporto tra la Chiesa cattolica ed il mondo contemporaneo, tema del resto richiamato in modo esplicito nel titolo finale del documento. Non si tratta, ha osservato Pompili, di un tema astratto o poco pertinente alla religione: «Il fatto stesso che esista una Chiesa, deriva dal fatto che Dio si è aperto. Questo aprirsi di Dio si chiama Gesù Cristo. Dio si è aperto, si è 'mondanizzato': egli ha preso carne». «La domanda è dunque: in che modo Dio si rende anche oggi incontrabile? E cosa fa la Chiesa per essere tramite efficace di questa esperienza rigenerante dell'amore che trasforma il cuore dell'uomo e plasma di sé la stessa cultura ? Individuare la forma più nitida di apertura della Chiesa al mondo è ritornare perciò nient'altro che al kerigma, cioè al cuore dell'annuncio cristiano». Nella seconda parte della sua relazione, Pompili si è soffermato sul tema «strategico» del dialogo tra la Chiesa e il mondo, dialogo che si rifà al modo stesso dell'annuncio evangelico come descritto nel Nuovo testamento. Esso non rinuncia alla verità della fede, e insieme tiene conto dell'autonomia delle realtà temporali. Monsignor Pompili ha così concluso: «La 'Gaudium et spes' è nata nel bel mezzo di una battaglia e proprio per questo si è prestata ad essere vista come un testo–chiave del Concilio. Segna, non a caso, il passaggio da un atteggiamento di conservazione ad un atteggiamento missionario, tenendo bene a mente che il contrario di 'conservatore' non è 'progressista', ma 'missionario'. In tale antitesi si trova il senso preciso di che cosa è stata per la Chiesa l'apertura al mondo, segnata dal dialogo e dal riconoscimento di una autonomia relativa delle realtà temporali. Con la 'Gaudium et spes' si chiude il Vaticano II, e per così dire si consegna l'irripetibile esperienza del Concilio alla storia. Aveva visto giusto chi volle inserire nel testo un auspicio che anche oggi non possiamo che condividere:"il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza".

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