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DMO vs Distretto: sarà scontro? E intanto Il brand non c’è In evidenza

di Gianluca Solinas – Circondata da luoghi conosciuti nel mondo, la città deve costruire la propria immagine, senza dimenticare lo sviluppo industriale.


C’è il DMO (Destination Management Organization) fortemente voluto dall’amministrazione attuale e dall’assessore Paolo Asti, c’è il Distretto Turistico (anzi i distretti) annunciati dal Senatore Massimo Caleo, recentemente approvati dal Ministro Franceschini. Due modalità differenti che si pongono come obiettivo di “fare sistema” dal punto di vista turistico.

Le differenze ci sono e sono sostanziali: il primo (DMO) è un progetto che serve a consolidare un brand, un marchio, a renderlo riconoscibile ed attrattivo, in grado di attrarre quel turismo “emozionale” che oggi tutti sembrano volere, turismo di fascia medio-alta che va “catturato” offrendo esperienze e non semplicemente destinazioni.

L’altro è più un concentrato amministrativo di intenti, da riempire di contenuti e di sinergie, con la teorica collaborazione di quei territori che ne faranno parte (Lunigiana, Garfagnana e valli del Magra e Vara) e che, a detta dei detrattori, può somigliare all’ennesimo carrozzone tipo STL, che cattiva prova di sè ha già dato in passato, tanto che da più parti se ne annuncia l’abbandono.

In teoria quindi due cose diverse, in pratica due progetti simili almeno negli obiettivi che saranno destinati a scontrarsi, ad entrare in collisione, almeno per ciò che riguarda la concorrenza. O da noi o da loro insomma, questo sembra il destino dei due piani per lo sviluppo del turismo che sono attualmente sul piatto e sui quali, c’è da scommettere, si deciderà il futuro appeal delle nostre zone destinate al turismo.

Tigullio e Cinque Terre da una parte e Versilia dall’altra possono contare su una fama costruita negli anni, nei decenni, figlia di quel miracolo economico che negli anni fra il ’50 e ’60 ha reso l’Italia meta di un turismo nuovo, moderno, legato al benessere e che ha coinvolto per primi gli italiani e di conseguenza anche gli stranieri.

Oggi le cose cambiano in fretta e il turismo, cosi come il benessere, ha cambiato forma e provenienza. Per questo motivo la creazione di un “brand”, di un marchio riconoscibile e ben individuabile che possa competere con i territori limitrofi, è una sfida che i tempi impongono e che dovrebbe meritare ogni sforzo, da parte di tutti, per essere realizzabile.

Sinceramente non sembra così. Se da una parte si vuol creare il DMO, con l’obiettivo di rendere “Golfo e Terre dei Poeti” un marchio conosciuto nel mondo, dall’altra si pensa alla promozione dei territori da un punto di vista burocratico-amministrativo dimenticando che l’uno senza l’altro difficilmente potranno coesistere e non solo: farsi concorrenza (e nel campo turistico la concorrenza si fa con i prodotti) mette in svantaggio la parte che di prodotti ne può (al momento) offrire di meno.

Facciamo un esempio.
Cosa può contrapporre la Spezia alla Lunigiana? Dal punto di vista dell’esperienza emozionale? Da una parte una città che al turismo si affaccia adesso (sono ancora fresche le polemiche riguardanti le crociere, solo qualche anno fa nessuno fra gli addetti, i commercianti, gli imprenditori, credeva che si potessero sviluppare e che avrebbero portato vantaggi economici alla città), che è in ritardo su molte cose come i trasporti ecologici e moderni, l’accoglienza vera e propria (che non è fatta solo di posti letto), l’offerta di pacchetti di attività ben definiti, la mancanza di accesso al mare, di divertimenti, con un’offerta culturale tutta da promuovere e senza eventi di portata nazionale che possano attrarre interessi. Senza poter tralasciare la mancanza di tutela per i cittadini e quindi anche per i turisti ospiti che devono subire il grave inquinamento generato dalle grandi navi (non solo crociere) che transitano e stazionano sulle banchine del porto emettendo fumi continuamente.

Tutto ciò coniugato con il fatto che la “visione strategica” di volta in volta sbandierata dalle varie parti politiche è totalmente inesistente. A riprova di ciò si parla ancora di elettrificazione delle banchine quando ormai anche l’Europa (ed i costruttori di navi) l’hanno abbandonata in favore della metanizzazione e per ciò che riguarda il futuro dell’area Enel ci si trova ancora in alto mare, fra proposte ottocentesche e favole irrealizzabili che di concreto non hanno nulla, se non svanire subito dopo ogni campagna elettorale.

Ce ne sarebbe a iosa di fango da sollevare, dalla bonifica delle aree inquinate del Golfo, quindi discariche e fondali, al PUC, all’industria 4.0 che semplicemente da qui non passa (e perchè dovrebbe), alla sbandierata competenza sulla nautica che dovrebbe coinvolgere il futuro dei giovani spezzini, ai trasporti ecologici del Golfo, che semplicemente non esistono, a piazze più o meno piaciute che continuano ad essere messe in discussione senza uno straccio di alternativa che si posi su basi solide (culturali e funzionali) e una crescita relativa ad una smart city che resta al palo solo per fare qualche esempio.

Che destinazione turistica possiamo offrire? Quali esperienze? Quale il coordinamento di idee e realtà da mettere in rete? Quali proposte? Cosa potrà rendere La Spezia attraente per il turista esigente? Il mugugno continuo? L’approssimazione? Una spiaggia disegnata su un muro? O ci limiteremo a offrire muscoli ripieni (quando non muoiono ripieni di fanghi) e mesciùa?

Come fare per creare una cosa che attualmente non c’è? Per prima cosa bisognerebbe crederci e cominciare a capire che una città sonnacchiosa e polemica non è detto che sia attraente per chi vuole passare qualche giorno in relax, in vacanza, in attesa di esperienze da raccontare agli amici. Una destinazione turistica ambita si riconosce subito appena si arriva. Dall’atmosfera, dalle bellezze naturali e da quelle culturali, dallo spirito allegro e dalle opportunità che offre ad ogni passo.

Qui si può camminare tranquilli, senza distrazioni di sorta, purtroppo.

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