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Giorno del Ricordo, Peracchini: "La Spezia ha accolto tante persone costrette a lasciare la loro terra" In evidenza

Il discorso pronunciato dal Sindaco durante la seduta del Consiglio Comunale Straordinario presso la Caserma Ugo Botti.

Questa mattina, in questo luogo simbolico, abbiamo la possibilità di ricordare una pagina tragica della nostra storia recente, senza il timore di affrontare il giudizio oggettivo del tempo ed il peso della verità. Eppure non è un’occasione scontata, ma un dovere preciso verso il quale per troppi anni è mancato un obbligo morale ed istituzionale.

Il Giorno del Ricordo è la solennità nazionale in cui facciamo memoria dei massacri delle Foibe e l’esodo giuliano dalmata.
Una data tristemente importante che ci riporta alla fine del secondo conflitto mondiale, in un momento di speranza e liberazione che, invece, per molte famiglie italiane ha significato la perdita delle proprie case, della propria terra e, per molti, anche della vita sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi.
Il 10 febbraio 1947 furono firmati i trattati di pace di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia, l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. Territori in precedenza italiani ed abitati da italiani.
Quel dramma non si limitò solo alla perdita di luoghi che per quelle persone erano la patria e alla cancellazione di intere comunità, ma venne ampliato dalle persecuzioni etniche e culminò nella tragedia delle Foibe, dove perirono migliaia di italiani innocenti.
Un capitolo oscuro della nostra storia più recente che portò all’esodo di 350 mila italiani e che continuò fino alla fine degli anni Cinquanta.

Su quelle drammatiche vicende, come sappiamo, ha pesato per troppo tempo un silenzio colpevole e inaccettabile. Per decenni l’ideologia, la retorica di una certa area politica e le convenienze che sono seguite, hanno negato evidenze storiche drammatiche e limitato il dovuto rilievo a quella che fu, sotto ogni aspetto, una tragedia nazionale.

Una scelta consapevole, e per questo ancora più grave, che ha reso più penosa la condizione dei profughi negli anni a seguire: colpevoli di essere vittime di una scomoda verità.

Per questo è importante essere qui questa mattina, proprio all’interno di questa struttura, che fu uno dei campi di raccolta profughi che accolsero, nel silenzio imbarazzante di un Paese che non seppe proteggere i propri cittadini, quegli italiani scacciati con il terrore della loro case dalla ferocia dell’ideologica comunista che in molti paesi, senza interruzioni, seguì la dittatura del nazifascismo.
Il centro di raccolta della Spezia, uno dei pochi attivi in Italia per affrontare quell’esodo forzato che già in quei mesi venne apertamente negato per non subirne la responsabilità, fu ricavato utilizzando la “Regia Caserma Ugo Botti”, questa struttura dove oggi siamo riuniti, costruita negli anni antecedenti alla guerra per l’alloggiamento dei sommergibilisti.
Un dato stimato ci dice che furono oltre quattromila le persone di origine giuliano-dalmata ospitate in città nell’immediato dopoguerra. Una comunità nella comunità.

Davanti a quella situazione tragica, in risposta a quello che la storia chiamerà "l'esodo istriano", La Spezia fu, ancora una volta, terra d'accoglienza.
Migliaia di esuli, intere famiglie sconvolte da una ferocia che neppure la guerra aveva espresso, arrivarono in riva al nostro golfo, passando per Ancona o per Bologna, dopo aver lasciato da Pola, Parenzo, Capodistria, Buie, Umago e Rovigno. Erano italiani di tutte le classi sociali: operai e contadini, professionisti, impiegati pubblici, artigiani e bambini, spesso rimasti soli, a cui la ferocia dell’epurazione etnica aveva strappato anche gli affetti più cari.
In un’Italia, in un’Europa, che stava ancora vivendo la follia dei campi di concentramento e dell’epurazione raziale, viaggiavano altri treni, con i vagoni stipati ai limiti della sopravvivenza, in cui altri esseri umani subivano uno dei peggiori e più gravi affronti alla propria dignità.
Qui, al campo profughi cittadino, alla caserma "Ugo Botti", in queste stanze in cui venne cercato di dare loro riparo, i marinai italiani, e poi gli spezzini, seppero dare loro asilo.
Ne arrivarono migliaia da quel febbraio del 1947 e una parte di loro è rimasta alla Spezia divenendo parte della nostra comunità, contribuendo alla crescita di questa città che ha saputo sempre ospitare e adottare.
Dopo il passaggio in questa caserma, che per tanti divenne una casa definitiva, per molti vi fu la possibilità di ricominciare nei “villaggi per gli esuli” di Via Lunigiana e di Rebocco, luoghi che devono essere anch’essi patrimonio della nostra memoria perché sono parte fondamentale della comunità che siamo oggi.

Si legge in una testimonianza di una ragazzina nata tra le mura di questa caserma:
“Sono una ragazza di quindici; anni, figlia di profughi istriani, nata alla Spezia nella caserma Ugo Botti che si trova nella frazione di Muggiano. Qu vi abitai per quindici anni che per me trascorsero felici e sereni in mezzo a gente affratellata dall’esodo perché figli della stessa terra. ……. la caserma la ricordo così: piena di gente che viveva assieme come in una grande famiglia, e ne avrò sempre un caro ricordo. Entro le sue mura che hanno offerto a tanti profughi ospitalità ho passato dieci anni della mia vita.”

C’è voluta una la legge, quella istitutiva del “Giorno del Ricordo”, per riuscire a sollevare definitivamente la cortina di indifferenza, ed in molti casi di ostilità, che ha nascosto le vicende legate alle violenze perpetrate contro le popolazioni italiane vittime della repressione comunista. Azioni indegne che non possono avere giustificazione, così come non la devono avere tutti quegli atti in cui l’odio, la vendetta, la discriminazione, a qualunque titolo esercitata, diventi accettabile.
Oggi che, finalmente, le vicende tragiche di questi italiani sono entrate a far parte della nostra memoria storica, nella cultura condivisa del nostro Paese, dobbiamo impegnarci per evitare che su quei giorni torni a calare il silenzio, l’indifferenza e il disinteresse.
Abbiamo il dovere del ricordo, non solo verso quei nostri fratelli, ma anche per tutelare l’insegnamento che, in ogni caso, c’è stato lasciato e per garantire che la verità dei fatti non si perda o venga nuovamente negata.

Il Giorno del Ricordo, oggi più che mai, deve essere un monito costante alle nostre coscienze. Le sofferenze di quegli italiani non dovranno e non potranno essere mai sottovalutate o dimenticate.
Il prezzo che dovremmo pagare sarebbe quello portare indietro le lancette della storia, verso tempi oscuri, contrassegnati dalla logica del dominio della forza sulla ragione, sull’umanità.
Ma, se non saremo capaci di comprendere che il dialogo deve prevalere sul pregiudizio, se non faremo nostro lo spirito di fratellanza opponendolo a quello della discordia, vi sarà sempre il rischio che i valori acquisiti della libertà, della democrazia e della giustizia possano ancora essere violati.
Per questo dobbiamo impegnarci verso le nuove generazioni perché la Pace, nella comune cornice dell’Europa dei popoli, sia il solo riferimento accettabile.
Credo, anzi ne sono certo, che questo sia il modo migliore per onorare il ricordo delle vittime delle Foibe e delle persecuzioni che gli italiani d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia hanno sofferto.


Pierluigi Peracchini
sindaco della Spezia

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