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Il tempo che cancella i ricordi, l’importanza di conservare la memoria In evidenza

di Anna Mori – Ne abbiamo parlato con Silvia Ferrari, non solo perché è il tema del suo libro “Oltre la crisi della memoria”, ma anche perché è legato ad una struggente vicenda famigliare dell’autrice.

Il tempo spesso può cambiare la memoria degli eventi. Gli stessi testimoni mutano i propri ricordi, sia per il passare del tempo che li allontana piano piano dal fatto accaduto, sia perché gli stessi cambiano, crescono ed evolvono.

Abbiamo incontrato Silvia Ferrari, autrice del libro “Oltre la crisi della memoria. Primo Levi: una storia intellettuale della testimonianza della Shoah” in cui è stato trattato proprio il tema dell’importanza di conservare la memoria degli eventi.

Silvia, da dove è nata l’esigenza di scrivere un libro su questo argomento?

Ci sono alcuni eventi che hanno segnato l’inizio e la fine del mio percorso di studi.

Ho iniziato il Liceo Classico nel 2001, un anno molto particolare dal punto di vista storico: nell’estate il G8 a Genova e a settembre l’attacco alle Torri Gemelle. Mi ricordo che il primo giorno di scuola la Preside ci disse che era appunto un momento storico eccezionale e che dovevamo muoverci in punta di piedi, sfruttando tuttavia i cinque anni che ci si sarebbero spalancati davanti.

Altro momento particolare, l’incontro con le letture di Emmanuel Carrière, autore di “V13”, un libro sul processo legato all’attacco terroristico del Bataclan, altro fatto che ho sentito molto vicino a livello interiore perché i giovani che erano al Bataclan appartenevano alla mia generazione. Inoltre, Valeria Soresin era una dottoranda di ricerca, in un momento in cui anche io stavo facendo il dottorato di ricerca. Pensare a quei ragazzi al Bataclan da un lato, e agli altri ragazzi che hanno imbracciato le armi per perpetuare l’attentato dall’altra, per me è stato un trauma.

Mi sono laureata in filosofia a Pisa, ho avuto l’opportunità di studiare a Chicago e a Parigi e di svolgere il dottorato a Modena. Mi sono sempre interessata di filosofia francese contemporanea, in particolare Michel Foucault e Emmanuel Levinas. Attraverso la filosofia francese ed ebraica contemporanea ho maturato l’interesse per il concetto di testimonianza che ho fatto diventare una tesi di dottorato e poi il mio libro.

Ho cercato di studiare, quindi, come cambia la testimonianza dei sopravvissuti della Shoah dagli anni ’40 a metà degli anni ’90. Generalmente siamo abituati a pensare che una testimonianza rimanga per sempre tale, come una fotografia. In realtà non è così. Gli stessi testimoni cambiano i loro racconti nel tempo, pur mantenendo salda la verità storica raccontata. Ad esempio una testimonianza di Primo Levi degli anni ’50, non è la stessa negli anni ’80.

Questo non succede perché muta la verità storica, ma cambia il modo di raccontarla, perché sostanzialmente cambia la società e il pubblico. Cambia il testimone stesso e il modo di porsi, cambiano i linguaggi e il modo in cui si vuole raccontare la stessa storia. Quindi inizialmente si utilizza un approccio giornalistico e da cronaca, che in seguito può diventare più riflessivo, filosofico e saggistico.

Quindi ho capito che le testimonianze sono cambiate nel tempo. Ho individuato due macro momenti che ho chiamato “la preistoria della testimonianza” e “l’era della testimonianza” il cui spartiacque è stato il “Processo di Gerusalemme” del 1961 seguito da Hannah Arendt. Ho dato una storicità al concetto di testimonianza, ma anche un supporto filosofico che mi è stato dato sia dall’ermeneutica, che dalla filosofia del linguaggio.

Ho cercato di fare emergere alcuni problemi all’interno degli scritti dell’autore e di analizzarli dal punto di vista filosofico, ovvero la testimonianza della memoria, di come raccontare ciò che è accaduto e come questo possa in qualche modo essere riattualizzato sempre. Il libro si conclude con la morte di Primo Levi e si accenna agli anni ’90, alle ultime testimonianze e a come si possa parlare di memoria della Shoah quando i testimoni saranno scomparsi. Questo tema lo approfondirò in un secondo libro riferendomi ad un intervallo temporale compreso tra gli anni ’90, il periodo COVID e il presente, dove purtroppo l’antisemitismo è tornato d’attualità, confermandoci che non è mai scomparso. All’inizio della Guerra in Ucraina si è parlato di Ucraini nazisti e dell’operazione con cui Israele ha rimpatriato immediatamente tutti gli Ucraini Ebrei.

Ricordiamo nel 2019 la minaccia di morte di un hater a Liliana Segre al quale evento molti comuni italiani, tra cui La Spezia, hanno risposto conferendole la cittadinanza ad honorem. A seguito della pandemia ci sono stati diversi eventi di antisemitismo molto gravi. In più nel 2020 é uscito uno studio Eurispes che ha evidenziato che il 16% degli Italiani non crede alla Shoah. Questi saranno i temi da cui partirò per il secondo libro.

Tornando al tema della memoria voglio portare un esempio. La Rivoluzione Francese è stato un evento epocale per una nazione e per l’Europa intera. E’ chiaro che per la generazione successiva a Robespierre, la Rivoluzione era un evento molto vicino e ancora sentito a livello viscerale. Ora che sono passati più di due secoli, questo fatto per noi è diventato una pagina di storia che leggiamo sui libri. La Shoah, mi chiedo, subirà lo stesso processo di memoria? C’è la grande possibilità che questo evento diventi per le generazioni future, quello che per noi è diventata la Rivoluzione Francese?

Ora abbiamo ancora testimoni viventi, come Liliana Segre, che ci danno l’urgenza di parlarne. Ma quando non ci saranno più i testimoni, con la loro fisicità, chissà se sentiremo ancora quell’urgenza epidermica, rappresentativa, visiva, estetica. E’ chiaro che prima o poi potrà esserci questo rischio, ovvero che la memoria di eventi come la Shoah diventi come la nostra memoria per la Rivoluzione Francese.

La letteratura filosofica ci permette di fare quel salto che consente alla memoria di riattivarsi sempre. Un po' come quando Proust dice che sente il profumo delle madelaines e si ricorda della sua infanzia. La letteratura fa la stessa cosa quando parla di Shoah, ci fa fare un salto nel tempo e quindi può essere un supporto nella conservazione della memoria, grazie all’apporto creativo degli scrittori che aiutano a fissarla. Una letteratura che poi si appoggia a basi filosofiche ha un valore in più, fornendo una visione a 360° gradi che, spesso, ha sancito il successo o meno degli autori nel perpetrare la memoria.

Anche la tua storia famigliare si intreccia con la storia della Shoah…

Esatto. La mamma della mia bisnonna, Margherita Severi, era Ebrea e per una spiata a Monterosso, è stata catturata e mandata a Fossoli sullo stesso convoglio di Primo Levi. La mia bisnonna Roma Nunes, che visse quasi fino all’età di 100 anni ed io conobbi, cercò di farla liberare provando a corrompere con soldi e gioielli chi avrebbe potuto aiutarla. La bisnonna era abituata così: corrompeva chiunque, addirittura aveva un banco in Viale Garibaldi di biancheria, nonostante fosse ebrea, e i permessi per vendere, li conservo ancora oggi.

Dunque la mia bisnonna andò a Fossoli portandosi dietro i soldi e gioielli che era riuscita a racimolare, ma si trovò davanti ad un’amara sorpresa, ovvero guardie che le dissero che se nel campo c’era la mamma, voleva dire che anche lei era ebrea e sarebbe dovuta stare con sua madre. Dovette quindi scappare non riuscendo mai a liberarla.

E’ tutto documentato grazie all’ANED, al Favaro c’è un luogo in cui viene raccontata tutta la storia dei deportati e c’è anche il nome della mia trisnonna, nata a fine ottocento in Spagna, emigrata a Livorno e poi alla Spezia. Una famiglia di Ebrei che era arrivata alle Cinque Terre e che lavorava nel commercio alla Spezia. E’ una storia che ho scoperto solo a posteriori, dopo aver scritto la mia tesi parlando con la nonna che, appena seppe del mio scritto, tirò fuori le cartoline che la bisnonna inviava ad Auschwitz, in quanto convinta che fosse una prigione e non un campo di sterminio e mandava cibo, materassi, gioielli accompagnandoli con queste cartoline che tornavano indietro e dove scriveva lettere d’amore alla mamma.

Dopo la guerra si scopri che invece la trisnonna era stata uccisa appena arrivata ad Auschwitz ed è iscritta nell’elenco dei giusti in Israele.

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