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L'ANAC e la Legge sembrano affermarlo, chiediamo pertanto a Merlo un chiarimento nel merito. In questi giorni ricorre la notizia della possibile illegittimità della nomina dell'ex consulente del Ministro Delrio ed ex Presidente del Porto di Genova Luigi Merlo (marito di Lella Paita, ndr).


Il dibattito è acceso nei forum e nei blog frequentati dagli addetti ai lavori in ambito marittimo e non solo e la discussione è incentrata sull'art. 53, comma 16-ter del d.lgs. 165/2001.


Tale disposizione normativa, introdotta dall'art. 1, comma 42, della l. 190/2012, statuisce che «I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti».


Come se non bastasse, interviene a rafforzare la cogenza di tale norma, già di per sé piuttosto chiara peraltro, un recente parere dell'Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) redatto nel 2015 e firmato dallo stesso Raffaele Cantone, Presidente dell'Autorità, in risposta ad alcuni quesiti di merito sollevati da una Pubblica Amministrazione nel 2014.


In particolare, il parere di Cantone esplicita sul piano pratico i campi di applicazione della norma chiarendo con ulteriori riferimenti legislativi anche la ratio applicata dal legislatore nel redigere la Legge, in particolare per quanto riguarda i soggetti destinatari della norma e del relativo dispositivo sanzionatorio. Qui di seguito citeremo letteralmente alcuni passaggi chiave del suddetto parere e i riferimenti legislativi del caso riguardo a:


1- Principi ispiratori della norma;
2- La definizione di "dipendenti pubblici";
3- le categorie interessate dalla norma;
4- Criteri e applicazione del dispositivo sanzionatorio.

1- Partendo dai principi ispiratori della norma, ecco cosa dice testualmente Cantone:
"La norma, con finalità di prevenzione, mira a ridurre il rischio di situazioni di corruzione connesse all'impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro. Si intende, dunque, evitare che, durante il periodo di servizio, il dipendente stesso possa precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose sfruttando la sua posizione ed il suo potere all'interno dell'amministrazione per ottenere un lavoro presso il soggetto privato in cui entra in contatto. La disposizione prevede, quindi, in caso di violazione del divieto ivi previsto, le specifiche sanzioni della nullità del contratto e del divieto per i soggetti privati che l'hanno concluso o conferito, di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti."


2- Per quanto riguarda la definizione di "dipendenti pubblici", ecco invece cosa afferma molto chiaramente il parere, sgomberando il campo da possibili equivoci:
"Al fine di individuare l'ambito di applicabilità della norma, occorre sottolineare che la stessa è riferita espressamente ai dipendenti, per individuare i soggetti cui è precluso avere rapporti professionali con i privati destinatari dell'esercizio delle loro funzioni, nei tre anni successivi alla conclusione del rapporto di lavoro; la norma utilizza poi i termini servizio e cessazione del pubblico impiego, quasi a riferirsi esclusivamente ai dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni. E' evidente che una simile interpretazione non appare in linea con la ratio della disposizione in esame, tesa ad evitare ed a prevenire condizionamenti nell'esercizio di pubbliche funzioni e, pertanto, alla stessa deve darsi un'interpretazione ampia, tale da ricomprendere anche i soggetti legati alla PA da un rapporto di lavoro a tempo determinato o autonomo. E' quanto chiarito, peraltro, dall'art. 21 del d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39 (recante «disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'art. 1, commi 49 e 50 della legge n. 190/2012»), a tenore del quale «ai soli fini dell'applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell' articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico». Con tale disposizione normativa il legislatore ha voluto, quindi, ampliare la sfera dei destinatari della norma stessa, equiparando al dipendente pubblico, anche i soggetti esterni con cui la PA stipula contratti di lavoro di diritto privato.
In secondo luogo, l'art. 53, comma 16-ter del d.lgs. 165/2001 fa riferimento ai dipendenti che negli ultimi tre anni hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni. Al fine di comprendere il significato di tale definizione, sembra utile sottolineare che (come chiarito in dottrina) il potere autoritativo della PA si estrinseca nell'adozione di provvedimenti amministrativi atti ad incidere unilateralmente modificandole, sulle situazioni giuridiche soggettive dei destinatari. In altre parole la PA agente può introdurre nella sfera giuridica altrui un regolamento di interessi, senza che sia necessario il consenso o la collaborazione del soggetto titolare della stessa (laddove manchi l'autoritarietà non si e in presenza di un provvedimento amministrativo ma di soluzioni pattizie, come accordi o convenzioni, in cui l'assetto degli interessi è regolato in termini consensuali tra le parti). Il potere autoritativo è comunque subordinato al rispetto del principio di legalità.

Nella generalità dei casi la PA esercita poteri autoritativi, tuttavia l'art. 1, comma 1- bis l. 241/1990 – a tenore del quale «la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente»- consolida la valorizzazione dell'attività di diritto privato della stessa (pur legata al perseguimento del pubblico interesse), riconoscendo in capo alla PA una piena capacita contrattuale, comprensiva anche del potere di ricorrere a contratti che non appartengono ai tipi disciplinati dalla legge. Alla PA è quindi riconosciuta la facoltà di curare l'interesse pubblico instaurando rapporti di carattere privatistico con i soggetti interessati, su un piano di parità, in alternativa all'utilizzo dello strumento procedimentale e del provvedimento unilaterale, mediante atti a contenuto negoziale. Da quanto sopra rappresentato, può dedursi che i dipendenti con poteri autoritativi e negoziali, cui fa riferimento l'art. 53, comma 16- ter del decreto citato, sono quelli che esercitano concretamente ed effettivamente, per conto della PA, i poteri sopra descritti. Si tratta, nella specie, di coloro i quali emanano provvedimenti amministrativi per conto dell'amministrazione e perfezionano negozi giuridici attraverso la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell'ente".


3- Vediamo quindi come il parere aiuta a capire quali siano effettivamente le categorie interessate dalla norma:
"Al fine di individuare l'ambito di applicabilità della norma, occorre sottolineare che la stessa è riferita espressamente ai dipendenti, per individuare i soggetti cui è precluso avere rapporti professionali con i privati destinatari dell'esercizio delle loro funzioni, nei tre anni successivi alla conclusione del rapporto di lavoro; la norma utilizza poi i termini servizio e cessazione del pubblico impiego, quasi a riferirsi esclusivamente ai dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni. E' evidente che una simile interpretazione non appare in linea con la ratio della disposizione in esame, tesa ad evitare ed a prevenire condizionamenti nell'esercizio di pubbliche funzioni e, pertanto, alla stessa deve darsi un'interpretazione ampia, tale da ricomprendere anche i soggetti legati alla PA da un rapporto di lavoro a tempo determinato o autonomo. E' quanto chiarito, peraltro, dall'art. 21 del d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39 (recante «disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'art. 1, commi 49 e 50 della legge n. 190/2012»), a tenore del quale «ai soli fini dell'applicazione dei divieti di cui al comma 16-ter dell' articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico». Con tale disposizione normativa il legislatore ha voluto, quindi, ampliare la sfera dei destinatari della norma stessa, equiparando al dipendente pubblico, anche i soggetti esterni con cui la PA stipula contratti di lavoro di diritto privato. Ai fini delle prescrizioni e dei divieti contenuti nell'art. 53, comma 16 ter del d.lgs. 165/2001, pertanto, devono considerarsi dipendenti della PA anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al citato decreto 39/2013, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. In particolare, per quanto riguarda i titolari degli incarichi, cui l'art. 21 del predetto decreto legislativo si riferisce, si rinvia alle definizioni enunciate dall'art. 1, comma 2, dello stesso d.lgs. 39/2013, ed in particolare:


• - gli «incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati», con cui si intendono le «cariche di presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato, le posizioni di dirigente, lo svolgimento stabile di attività di consulenza a favore dell'ente» (art. 1, comma 2, lett. e);


• - gli «incarichi amministrativi di vertice» e cioè «gli incarichi di livello apicale, quali quelli di Segretario generale, capo Dipartimento, Direttore generale o posizioni assimilate nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, conferiti a soggetti interni o esterni all'amministrazione o all'ente che conferisce l'incarico, che non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione» (art. 1, comma 2, lett. i);


• - gli «incarichi dirigenziali interni» e, dunque, «gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonchè gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, appartenenti ai ruoli dell'amministrazione che conferisce l'incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione» (art. 1, comma 2, lett. j);


• -gli «incarichi dirigenziali esterni» e cioè «gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonchè gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a soggetti non muniti della qualifica di dirigente pubblico o comunque non dipendenti di pubbliche amministrazioni» (art. 1, comma 2, lett. k);


• - infine, gli «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», con cui si intende far riferimento agli «incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico» (art. 1, comma 2, lett. l). L'art. 21 del d.lgs. 39/2013 precisa al riguardo che i divieti di cui all'art. 53, comma 16- ter d.lgs. 165/2011, si applicano a far data dalla cessazione dell'incarico.


Possono rientrare in tali categorie, a titolo esemplificativo, i dirigenti e coloro i quali svolgono incarichi dirigenziali, ad esempio, ai sensi dell'art. 19, comma 6 del d.lgs. 165/2001 o ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. 267/200 (TUEL), nonchè coloro i quali esercitano funzioni apicali o ai quali sono stati conferite specifiche deleghe di rappresentanza all'esterno dell'ente. Ciò può evincersi anche dal Piano Nazionale Anticorruzione (All. 1, par. B. 10 - dedicato allo svolgimento di attività successiva alla cessazione del rapporto di lavoro di cui all'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001) il quale specifica che i «dipendenti interessati sono coloro che per il ruolo e la posizione ricoperti nell'amministrazione hanno avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto dell'atto e, quindi, coloro che hanno esercitato la potestà o il potere negoziale con riguardo allo specifico procedimento o procedura (dirigenti, funzionari titolari di funzioni dirigenziali, responsabile del procedimento nel caso previsto dall'art. 125, commi 8 e 11 del d.lgs. n. 163/2006)».


Il divieto di cui all'art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001 potrebbe, altresì, essere esteso anche nei confronti dei soggetti che potenzialmente avrebbero potuto essere destinatari dei predetti poteri e che avrebbero realizzato il proprio interesse proprio nell'omesso esercizio degli stessi."

4- Criteri e applicazione del dispositivo sanzionatorio:

"Un'ulteriore riflessione merita il limite temporale fissato dal divieto: esso concerne solo i poteri autoritativi e negoziali esercitati nei tre anni precedenti alla cessazione del servizio, ed opera solo nei tre anni successivi a detta cessazione. Tale previsione si basa su due ordini di ragioni: da una parte, prevedere una soglia temporale che consenta di contemperare le esigenze di imparzialità del servizio con l'interesse dei soggetti di intrattenere rapporti di impiego e professionali, tenuto conto che il divieto, peraltro, opera una volta che il rapporto di servizio è venuto meno; dall'altra parte, prevedere una soglia temporale adeguata a ritenere non più idonea l'eventuale posizione di interesse creatasi nel periodo di svolgimento delle funzioni pubbliche a recare pregiudizio all'imparzialità della PA. La norma dispone, infine, di un apparato sanzionatorio a supporto dell'effettività della stessa. Sono previste, infatti, tre tipologie di misure. Le prime due misure prevedono la nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti in violazione della norma, nonchè il divieto, per il soggetto privato che ha concluso tali contrati o conferito detti incarichi, di contrattare con le pubbliche amministrazioni. La terza misura prevede, invece, l'obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati per lo svolgimento dell'attività lavorativa o professionale a favore del soggetto privato.

 
Occorre sottolineare che a seguito dell'entrata in vigore della legge anticorruzione, anche il Piano Nazionale Anticorruzione ha dato rilevanza all'art. 53, comma 16 ter del decreto citato, per le chiare finalità di prevenzione della corruzione perseguite dalla stessa. Il PNA, infatti, ha previsto l'inserimento della condizione soggettiva di cui alla citata norma nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti e la sanzione dell'esclusione dalle procedure di affidamenti, anche mediante procedura negoziata nei confronti dei soggetti per i quali sia emerso il mancato rispetto del requisito prevista dalla norma. In particolare, nel par. 3.1.9 del PNA si legge che le PA di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 devono impartire direttive interne affinchè «nei contratti di assunzione del personale sia inserita la clausola che prevede il divieto di prestare attività lavorativa (a titolo di lavoro subordinato o di lavoro autonomo) per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto nei confronti dei destinatari di provvedimenti adottati o di contratti conclusi con l'apporto decisionale del dipendente; nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti, anche mediante procedura negoziata, sia inserita la condizione soggettiva di non aver concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e comunque di non aver attribuito incarichi a ex dipendenti che hanno esercitato poteri autoritativi e negoziali per conto delle pp.aa nei loro confronti per il triennio successivo alla cessazione del rapporto; sia disposta l'esclusione dalle procedure di affidamento nei confronti dei soggetti per i quali sia emersa la situazione di cui al punto precedente; si agisca in giudizio per ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli ex dipendenti per i quali sia emersa la violazione dei divieti contenuti nell'art. 53, comma 16 ter, d.lgs. n. 165/2001».

 

Ci rendiamo conto che il linguaggio giuridico usato possa apparire materia tecnica per i soliti appassionati giuristi e addetti ai lavori, ma va anche detto che, al di là della doverosa completezza informativa necessaria in notizie di questo genere, la questione di fondo è tutt'altro che di lana caprina e facilmente riassumibile: dal momento che la norma appare cogente e il parere ANAC ne chiarifica in maniera decisiva gli aspetti applicativi, sorge spontanea la domanda a Luigi Merlo circa la nullità dell'incarico che attualmente ricopre in MSC e la possibilità che lo stesso sia esposto a ricorsi. Nei giorni scorsi abbiamo letto su tanti media l'annuncio del nuovo incarico al signor Merlo e anche noi, come ovvio, ne abbiamo dato notizia. Saremo quindi come sempre lieti di ospitare sulle nostre pagine un suo chiarimento circa questa vicenda certamente di pubblico interesse, certi che il suo canto fugherà ogni legittimo dubbio sull'opportunità e sulla liceità del nuovo incarico assunto.

 

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