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“La formazione del personale sanitario di Asl5 è iniziata solo il 18 marzo” In evidenza

I rappresentanti di medici e infermieri raccontano le fasi più critiche dell’emergenza: una serie di “punti deboli” dell’Asl irrisolti da troppi anni.

Il ritardo nel montaggio delle tende pre-triage, la poca comunicazione interna, il problema dell’esecuzione e dell’analisi dei tamponi, la carenza di personale e la mancanza dei dispositivi di protezione.

Queste le principali criticità dell’emergenza evidenziate da Michela Ardini, rappresentante dei medici ospedalieri dell’Anaao-Assomed, Assunta Chiocca del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche, e Salvatore Barbagallo, presidente dell’Ordine dei medici della Spezia, durante la seduta online della commissione sanità che si è svolta oggi.

Una serie di “punti deboli” del sistema sanitario spezzino che non sono esplosi inaspettatamente, ma che costituiscono un problema cronico ben noto da molti anni. L’epidemia, come hanno sottolineato i rappresentanti del personale sanitario, non ha fatto altro che esacerbare una situazione già difficile.

“La nostra impressione è che il pre-triage, molto utile per evitare la commistione con pazienti positivi, potesse essere attivato ancora prima di quando è stato fatto – ha osservato la dottoressa Michela Nardini – In futuro dovrà anche essere migliorata la comunicazione diretta sull’applicazione dettagliata dei protocolli, con una spiegazione chiara al personale. Un’altra carenza è stata secondo me l’adesione a protocolli che non originavano dall’Asl ma dai livelli ministeriali: credo che in futuro si possa essere più elastici nell’applicazione delle norme laddove si riconosce un deficit”.

L’altro tasto dolente è quello dei tamponi (leggi qui l’approfondimento), che nella prima fase dell’emergenza venivano trasportati e analizzati al laboratorio del policlinico San Martino di Genova, con un inevitabile allungamento dei tempi e l’impossibilità di processarne una quantità maggiore (un numero ancora oggi non definito è andato perso).

“Questo ha fatto sì che non si potesse estendere l’utilizzo del tampone anche ai pazienti meno a rischio – ha aggiunto Nardini – A volte, in più, c’è stata grande difficoltà nella refertazione anche per la mancanza dei reagenti. Ancora oggi stiamo completando lo screening del personale sanitario, con tampone per chi ha avuto contatti sospetti oppure con test seriologico. Nella prima fase sono arrivate direttive con l’indicazione di classificare come sospetti solo i pazienti che oltre ai sintomi respiratori classici avessero anche un link epidemiologico, questo anche quando i dati facevano sospettare che l’epidemia avesse già valicato le zone rosse di rischio e quando già i dati iniziavano a far capire che anche gli asintomatici fossero contagiosi. Si sarebbe forse potuto allargare l’utilizzo del tampone anche al di fuori dei limiti ministeriali”.

“Ci troviamo ancora nella fase cruciale dell’epidemia, perché la fase 2 in termini di criticità non ha nulla da invidiare alla fase 1 – ha fatto notare il presidente dell’Ordine dei medici Salvatore Barbagallo – Si sono messe in luce tutte le falle del sistema sanitario locale, ben presenti in passato e che in questa situazione di emergenza sono venute in luce ancora di più. Dobbiamo però tenere conto che alcune carenze nella gestione dell’emergenza sono anche dovute al manifestarsi di una situazione del tutto inaspettata”.

Assunta Chiocca del Nursind ha messo in fila le date cruciali della prima fase dell’emergenza alla Spezia: “Il 30 gennaio l'Oms dichiara l'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, le tende pre-triage vengono montate l’8 marzo, i traslochi notturni che hanno consentito lo spostamento dei pazienti Covid positivi avvengono il 13 marzo, mentre l’inizio della formazione del personale soltanto il 18 marzo. L’azienda interrompe le comunicazioni con i sindacati il 4 marzo. Già da queste date dovreste avere un’idea della gestione della prima fase, assolutamente caotica e inefficace. I dispositivi di protezione in più sono mancati da subito: non c’erano le scorte che l’azienda avrebbe dovuto avere perché programmate dai piani per affrontare eventuali pandemie. Anzi, spesso sono stati consegnati dpi assolutamente inidonei”.

Un paradosso, come sottolineato da Chiocca, è che i reparti che hanno “sopportato” meglio il contagio sono stati quelli Covid, in cui il personale si è trovato a lavorare con i presìdi necessari, sebbene fossero pochi. “Parliamo 12 ore di turno continuativo indossando la solita tuta e la solita mascherina, senza la possibilità di bere o utilizzare il bagno”, ha raccontato la referente locale del Nursind.

Nei reparti Covid-free, invece, si sarebbe verificato il più alto numero di contagi “proprio perché i dpi erano inidonei: a tratti a noi infermieri è stato detto che facevamo terrorismo nei confronti dei pazienti perché chiedevamo di avere i dispositivi di protezione”.

Un discorso a parte meritano la formazione e i numeri del personale: “C’è stato un utilizzo di specialisti di altri reparti a supporto di quelli Covid: forse questo addestramento poteva essere esteso a tutto il personale prima dell’emergenza – ha spiegato Nardini – Uno degli aspetti più gravi è quello della carenza di personale, che risulterà ancora più grave in questa fase, quando dovremo gestire sia le patologie usuali sia gli eventuali nuovi casi di Covid. Questo problema è annoso: riguarda sia medici che infermieri e non è mai stato risolto. Molti degli interinali assunti per lavorare in un reparto sono stati spostati in altri, ma se ad esempio metto in ortopedia un infermiere abituato a lavorare in cardiologia ci sarà una perdita di competenze e un potenziale danno per la salute dei pazienti. Manca il rispetto dei nostri ruoli e delle nostre competenze”.

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