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Renzo Fregoso, inarrivabile cantore della spezzinità In evidenza

Ha incantato gli ascoltatori con la circonlocuzione sulla spezzinità, intitolata “A Cordela”.

Nel pomeriggio di lunedì 19 marzo, festa patronale di San Giuseppe, un applauso interminabile ha salutato il poeta Renzo Fregoso al suo ingresso nel salone Sforza dell’Accademia Lunigianese di Scienze “G.Capellini”, dove per quaranta minuti ha incantato la platea, attenta a non perdere una sola parola della circonlocuzione sulla spezzinità, intitolata “A Cordela”.

Mi fa piacere lasciare una breve testimonianza di quell’incontro, che ha confermato, ancora una volta, il sincero affetto rivolto dagli spezzini al novantaseienne Fregoso, che ha simpaticamente ricordato, essendo nato nel mese di gennaio, di essere stato sin dalla scuola elementare uno dei primi della sua classe.

Con pensieri molto pertinenti, il professore Giuseppe Benelli, presidente dell’Accademia, ha evidenziato il profilo culturale ed umano del poeta, sottolineando nel contempo la peculiarità della poesia nel porsi come indiscutibile valore, che aiuta a meglio affrontare i vari momenti dell’esistenza. In ogni occasione Fregoso non manca di esprimere autenticità e amore nell’offrire arguti spaccati autobiografici, strettamente legati alla storia ed ai costumi della Spezia.
Nella nota che accompagna il CD, promosso nel 2009 dall’Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia, comprendente i suoi monologhi dal 1987 al 2007, si legge che per Fregoso “il dialetto è lingua, musicalità, ironia, fonetica, storia locale e insieme testimonianza sulla condizione umana: un modo personalissimo e originale di raccontare un luogo e le persone che ci vivono”. Sintesi più che perfetta che fa trasparire la forma e il contenuto della maiuscola creatività di Fregoso, che si rinnova di volta in volta in un crescendo di altissima qualità e di irrinunciabile coinvolgimento.

Grande merito del poeta, infatti, è di suscitare a chi lo ascolta, tramite il diffuso utilizzo del dialetto spezzino, l’importanza del senso di appartenenza alla propria comunità cittadina, richiamandone il passato con originali narrazioni che hanno il pregio di attivare la sensibilità di quanti si pongono al loro ascolto. Un ascolto partecipato che ciascuno custodisce nel proprio animo.

Sarebbe inappropriato da parte mia cercare di riportare le storie, sempre impreziosite da sorprendenti e veritieri dettagli, che Fregoso ha recuperato dalla sua vicenda personale per esporle con accenti gradevolmente ironici e con magistrali punte poetiche molto commoventi.
Da esperto attore, ma senza alcuna finzione, nella figura della levatrice Cordela, una “buona donna” che assisteva le partorienti nelle loro abitazioni, Fregoso ha parlato di vita, della sua nascita, di quella del fratello Sergio, nato nel 1927, e della sorella, nata nel 1933. Indimenticabile il preciso passaggio del suo monologo nel quale con incedere misurato, venato di percepibile tenerezza, ha ricordato il dono ricevuto dal fratellino appena nato: un pacchetto di savoiardi, che profumavano di borotalco.

In “A Cordela” Fregoso si è avvalso, anche, degli straordinari versi della poetessa Mariangela Gualtieri (“Ciò che non muta / io canto /.......il semplice del grano / e del pane la stessa festa che si tiene / fra le rose a maggio, la corsa / della rondine e il coraggio / dell’animale nella tana / quando gli esce il nato fra le zampe”), magnificamente interpretati con il consueto tono vocale che non alimenta alcuna distrazione, consono a richiamare la verità di quelle parole, pronunciate con sentita condivisione ed accolte da un corale ed affettuoso plauso. Fregoso, infine, ha rivolto un pensiero al silenzioso Giuseppe, che fa suo il progetto di Dio, accogliendo Maria come sposa e diventando padre di Gesù.

(Testo: Valerio P. Cremolini)

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